C’è molto che possiamo imparare, osservando i teatri più importanti del mondo. Anche se ogni caso è unico nel suo genere. Anche se gestiamo un piccolo teatro indipendente.
Marc A. Scorca dirige dal 1990 l’associazione OPERA America, che promuove l’Opera e il teatro in tutto il territorio degli Stati Uniti. Dell’associazione fanno parte le più grandi compagnie operistiche d’oltreoceano, dal Metropolitan Opera al San Francisco Opera.
Recentemente è stato intervistato da Nicholas Payne, direttore di Opera Europa, in un interessante confronto che traduciamo e pubblichiamo. I teatri più importanti, generalmente, sono i primi a venire a contatto con i cambiamenti di tendenze: studiare la loro esperienza può prepararci in anticipo agli scenari futuri.
Nicholas Payne: «Quale lezione possono imparare le compagnie teatrali europee dai recenti sviluppi delle compagnie operistiche americane?»
Marc Scorca: «Gli Stati Uniti hanno sicuramente assistito a un cambiamento nell’ambiente operistico, accelerato dalla Grande Recessione del 2008. Da un lato abbiamo sperimentato un calo di partecipazione agli spettacoli principali; ma dall’altra abbiamo visto un aumento dell’interesse del pubblico, come ci dimostrano il successo dei biglietti scontati e la partecipazione agli spettacoli gratuiti. La curiosità degli spettatori verso questa forma d’arte è rimasta invariata, e le compagnie operistiche stanno lavorando a una strategia per incoraggiare i “curiosi” a frequentare i teatri d’Opera.
Mantenere intatta la nostra audience tradizionale è invece una sfida: gli appassionati continuano a frequentare l’Opera, ma con meno assiduità. Gli abbonamenti, un tempo la spina dorsale del nostro business model, sono in calo; sembra che la gente non abbia più voglia di programmare gli impegni con un anno di anticipo. Le persone sono interessate alla flessibilità. Vogliono poter decidere oggi o domani cosa faranno il prossimo sabato sera, anche a causa di un’offerta crescente e sempre più variegata».
NP:«È più facile far partecipare gli abbonati e i clienti abituali, rispetto a conquistare nuovi spettatori?»
MS: «Non è detto. Al Teatro dell’Opera di St. Louis, l’anno scorso, il 26% dell’audience era composta da nuovi clienti. L’Opera Lirica di Chicago ha registrato risultati simili, aiutandosi anche con l’introduzione di musical di successo al di fuori del programma in abbonamento. Le compagnie operistiche stanno riuscendo ad attrarre nuovo pubblico; la sfida più grande, semmai, è far tornare più e più volte gli spettatori in sala. C’è un gran numero di persone che vogliono sperimentare gli spettacoli tradizionali e che magari torneranno la prossima stagione, ma poi non diventano spettatori abituali come succedeva una volta».
NP: «In base all’esperienza dei più importanti teatri d’America, a quali tendenze dovrebbero prepararsi le compagnie d’Opera europee?»
MS: «L’offerta crescente nel settore dell’intrattenimento continuerà a costituire una sfida per tutti noi, in Europa come negli States. I produttori saranno messi sempre più alla prova. Un’altra tendenza con una potenziale risonanza in Europa è l’aumento delle compagnie d’Opera guidate da artisti, che al momento stanno fiorendo in tutto il Nord America. Ad esempio la New York Opera Alliance conta, al momento, quaranta organizzazioni di produzione operistica. Alcune sono compagnie locali che danno agli artisti del posto l’opportunità di esibirsi; altre sono veri e propri laboratori, che producono ogni giorno nuove occasioni di lavoro. Ci sono più di venti compagnie di questo tipo nella baia di San Francisco. A Boston, recentemente, undici compagnie operistiche si sono associate per organizzare un’esibizione di varietà che comprende tutti i loro repertori. Gli artisti non trovano un lavoro stabile nelle principali infrastrutture operistiche, così fanno fronte comune per esibirsi in autonomia. Propongono performance nuove e inusuali, in strutture tradizionali e non.
Gli artisti-imprenditori sono una forza che sta portando nuova vitalità alla scena operistica americana. Danno un’opportunità ai giovani direttori, designer, conduttori e cantanti; sono un laboratorio per spettacoli nuovi ed innovativi. Queste infrastrutture hanno anche il pregio di “scovare” un nuovo tipo di pubblico, che si reca volentieri in luoghi insoliti – loft, magazzini, chiese o locali notturni – convertiti in teatri d’Opera. Le nuove compagnie stanno ridefinendo la forma d’arte dell’Opera».
NP:«Viceversa, c’è qualche particolare consiglio, lezione o tendenza che hai imparato dalle tue visite in Europa negli ultimi anni?»
MS: «Quello che più mi colpisce, nei meeting delle compagnie teatrali europee, è l’equilibrio fra gli argomenti. In America ogni cosa riguarda il business, il fundraising per teatro e gli imperativi di marketing necessari ad equilibrare il bilancio: le compagnie teatrali ricevono un supporto davvero minimo dagli enti governativi. In Europa invece, anche quando i contributi pubblici (pur se molto più generosi) calano, le compagnie operistiche hanno comunque la libertà di concentrarsi sull’arte, anziché affrontare solo il discorso degli introiti; sono libere di parlare del repertorio e dei diversi stili di produzione. Il dialogo incentrato sull’arte è cruciale nelle riunioni dei teatri più importanti d’Europa, molto più che negli Stati Uniti. Da voi i Direttori generali sono soprattutto dei direttori artistici. In America, invece, il Direttore generale è la persona che si occupa di mandare avanti gli affari. L’impresa artistica è solo una parte di una conversazione più ampia sulla generazione di introiti e sulle pubbliche relazioni».
Fundraising per teatro: com’è cambiato negli ultimi anni
L’intervista prosegue toccando l’argomento del fundraising per teatro. Sottolineando di volta in volta analogie e differenze fra Europa e Stati Uniti, criticità e aspetti positivi.
NP: «Hai notato un calo nelle sovvenzioni e nelle donazioni private? Dobbiamo inventare dei nuovi modelli di business per fundraising e teatro, sia negli Stati Uniti che in Europa?»
MS: «Le donazioni private non sono cadute in disuso. Se guardiamo all’ammontare delle donazioni che corporazioni, fondazioni e benefattori privati elargiscono alle compagnie operistiche, il totale è cresciuto e continua a crescere. Certamente durante la Grande Recessione c’è stato un significativo taglio delle spese, che continua a pesare sulle compagnie d’Opera. Nell’anno fiscale del 2013, però, il numero di compagnie con un buon bilancio è salito. Le donazioni sono cresciute con il risanamento del mercato azionario e molti mecenati hanno riconosciuto che, durante gli anni della crisi, elargire donazioni più generose è stato essenziale per la buona salute delle organizzazioni..
Il modello del sostegno privato continua a funzionare negli Stati Uniti. C’è però preoccupazione per il fatto che molte compagnie dipendono direttamente da pochi, importanti benefattori: molti di questi sono anziani e ci si domanda se la prossima generazione, in queste generose famiglie, continuerà la tradizione filantropica verso l’Opera. Va anche detto che da un lato si stanno aggiungendo nuovi donatori, e dall’altro quelli “storici” sono più prodighi che mai. In più, mano a mano che le compagnie sperimentano nuovi modi di comunicare il loro valore nella comunità, sempre più fondazioni e corporazioni incrementano il loro contributo, investendo nel fundransing per il teatro. Ovviamente è difficile cambiare il business model senza cambiare il business, e la verità è che produrre l’Opera è (e sarà sempre) un affare molto oneroso».
NP: «Credi che il modello basato sulle donazioni private sia più stabile di quello delle sovvenzioni pubbliche?»
MS: «Assolutamente. I donatori individuali sono motivati dalla passione che nutrono verso questa forma d’arte. Continueranno a voler contribuire in virtù di preservare e incoraggiare l’Opera, che loro amano. I donatori individuali possono essere molto più prodighi di corporazioni, fondazioni o agenzie governative».
Come si evolve il teatro nel mondo
NP: «Ti preoccupano i fallimenti dei teatri più importanti d’America, come il New York City Opera? O è solo una questione evoluzione naturale (sopravvive il più adatto)?»
MS: «Quanto a lungo può andare avanti un’organizzazione se ha perso la via? La vicenda del New York City Opera non ci parla del fallimento del fundraising per teatro, ma rappresenta piuttosto la storia dei cambiamenti avvenuti a New York negli ultimi anni. Quando Fiorello LaGuardia ha definito lo stile della NYCO “L’Opera del popolo”, nel 1943, a New York c’era una florida classe media, che comprendeva immigrati italiani ed ebrei e che ha ideato il repertorio operistico. Oggi il tessuto sociale della città è molto cambiato. Nel frattempo sono emerse altre compagnie operistiche, più innovative del City Opera. La ragion d’essere di questo teatro si è affievolita e con lei l’audience e il numero dei mecenati. Credo si tratti di una discussione storico-sociologica molto più ampia. Non tutti i fallimenti di una compagnia operistica riflettono un fallimento dell’intero sistema: alcuni rappresentano una difficoltà dei professionisti nel tenersi a galla in un ambiente in evoluzione.
L’Opera sta diventando un business molto più complicato e ricco di sfumature di quanto non fosse in passato. Gli addetti ai lavori devono necessariamente imparare l’uno dall’altro, scambiandosi idee e strategie. Abbiamo bisogno di garantire uno sviluppo professionale in aree specifiche, così i membri dei nostri staff potranno potenziare le loro competenze».
NP: «Ritieni sia più sensato puntare sui titoli, che si tratti di Rigoletto o di Silent Night, piuttosto che promuovere genericamente il “brand” dell’Opera? È una strada che può dimostrarsi fruttuosa?»
MS: «Che domanda interessante. Penso che l’Opera come brand sia un’arma a doppio taglio. Da una parte ha la brutta nomina di essere lunga, noiosa, “vecchia” e poco accessibile al pubblico. Ma, dall’altra, evoca anche immagini di glamour: un’occasione per vestirsi bene e partecipare a qualcosa di elegante (i teatri più importanti del mondo insegnano). Sono entrambi degli stereotipi, certo, ma siamo in conflitto su quale sia la vera immagine dell’Opera: qual è il brand che dovremmo promuovere? Nell’ottica del guadagno, di norma incoraggiamo i mecenati sottolineando i vantaggi esclusivi di cui possono godere. Ma vogliamo anche far capire alle persone che l’Opera si rivolge a tutti perché parla di storie universali, usando un linguaggio che fonde musica e teatro. Quindi, sì, penso sia importante lavorare per cambiare la percezione del brand “Opera” e renderlo più solido nell’immaginario».